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luglio 2013 – Era la metà del mese di Dicembre
2010 quando il campo abusivo di via della Martora venne sgomberato
attraverso un accordo che prevedeva il trasferimento di circa 350
rom nel campo attrezzato di Castel Romano. Dopo alcuni decenni di
“temporanea occupazione del territorio” veniva alleggerito
il numero di persone nomadi all’interno del quartiere riducendolo
a circa la metà di presenze. Ad ogni nucleo familiare venne
assegnata una casa prefabbricata, dotata dei servizi essenziali, del
costo di circa ventimila euro per unità abitativa. L’opposizione
alla giunta dell’allora sindaco Alemanno lanciò l’accusa che
ai nomadi fu assegnato anche un incentivo in denaro per convincerli
ad abbandonare l’accampamento abusivo, tesi sempre smentita dall’amministrazione
capitolina.
Nel territorio di Colli Aniene rimase il solo campo tollerato di via
Salviati, con circa 350 presenze che lievitarono subito in maniera
consistente creando problemi di sovraffollamento. Secondo il Piano
Nomadi questo villaggio doveva essere fornito di servizi essenziali
alla vita di chi vi soggiornava ma l’impegno rimase solo sulla carta.
Come i sogni rimasti nel cassetto, anche l’integrazione di chi restò
a Colli Aniene subì un profondo arresto e aumentarono gli screzi
tra i residenti e i rom con continue accuse reciproche fino a sfociare
in una manifestazione pilotata da un partito di estrema destra. La
storia racconta di un campo sovrappopolato e con problemi di tutti
i tipi ad iniziare da quello sanitario documentato dalla ASL Roma
B, problemi di sicurezza, la difficile scolarizzazione dei bambini,
per finire con l’immancabile presenza di fumi
tossici contenenti diossina che sono un veleno per chi vive all’interno
del campo e nelle immediate vicinanze. Nonostante questo, Colli Aniene
aveva trovato una certa stabilità sulla questione rom e solo
poche voci ostili si levavano contro un campo dai due volti (Salviati
1 e 2) uno proiettato verso l’integrazione e l’altro lacerato da lotte
intestine tra le diverse etnie. Gli stessi conflitti che stanno mettendo
a soqquadro il campo di Castel Romano spianando la strada al ritorno
di oltre duecento rom che, approfittando del vuoto di potere per il
cambio della giunta capitolina, hanno occupato prepotentemente l’area
posta tra via Salviati e la zona di via della Martora. Da quel giorno
(i fatti risalgono a qualche settimana fa) la situazione si è
fatta estremamente critica, sia per chi è costretto a vivere
sotto una tenda, senza alcun tipo di servizio e in condizioni sanitarie
disumane e pericolose, e sia per i residenti tornati a subire gli
effetti collaterali di questo ritorno.
Proviamo ad esprimere i punti di vista di entrambi i contendenti puntando
sull’informazione e senza prendere alcun tipo di posizione pregiudiziale.
Il punto di vista dei rom.
Sono stati costretti a tornare nel luogo di origine perché
l’amministrazione capitolina non è stata in grado di mantenere
la sicurezza nel campo attrezzato di Castel Romano dove gruppi di
alcune etnie seminano il terrore nel villaggio dando fuoco alle case
di chi non si adegua ai soprusi. Inoltre il campo di Castel Romano
è lontano da qualsiasi centro abitato e non favorisce lo svolgimento
dei piccoli lavori che sono essenziali per la sopravvivenza del popolo
rom. I roghi tossici vengono accesi per evitare che l’accumulo di
rifiuti prodotti dal campo, spesso non ritirati dall’AMA, non si trasformino
in un problema sanitario per chi ci vive.
Il punto di vista dei residenti confinanti.
La diossina prodotta dai roghi
tossici sta avvelenando chi vive al confine di campi abusivi o
tollerati. Il ritorno dei rom ha portato ad un incremento di questo
fenomeno e molte persone denunciano danni agli apparati respiratori.
La presenza di insediamenti senza alcun tipo di servizio rischia di
essere un focolaio di epidemie che potrebbero colpire, oltre ai nomadi
stessi, chi vive nei loro pressi. Questi insediamenti abusivi hanno
già portato alla devastazione di una grossa fetta di territorio
come via della Martora la cui bonifica è costata quasi un milione
di euro pagati dai contribuenti. La sicurezza a ridosso di questi
villaggi è spesso compromessa da alcuni individui residenti
nei campi. C’è una estrema tolleranza verso i nomadi che non
rispettano le regole e non vengono perseguiti i reati contro la persona
e il territorio.
Entrambe
le parti addossano grandi responsabilità di questa situazione
all’immobilismo del sindaco Ignazio Marino che continua ad ignorare
questa crisi e non fornisce informazione su come intende affrontare
la questione rom. Siamo passati da un Piano Nomadi fallimentare alla
mancanza assoluta di una strategia.
Antonio
Barcella
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