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agosto 2013 – Qualche giorno fa abbiamo lanciato una
provocazione: “Il razzismo è alimentato in primo
luogo dalla indifferenza delle Istituzioni, dall’incapacità
di gestire la sicurezza nei campi rom o al di fuori di questi, di
non perseguire i reati trincerandosi dietro le denunce verso ignoti
ma conoscendo benissimo chi sono gli autori, l’incapacità di
varare un piano adeguato limitandosi a monitorare il problema.”
Oggi vogliamo approfondire il concetto al fine di tentare di uscire
dall’ipocrisia: il solo modo per trovare una soluzione vera alla questione
Rom. Intanto chiamiamoli Rom, Sinti o qualsiasi altro nome ma non
chiamiamoli nomadi. Il flusso di movimento di un popolo tra una nazione
e l’altra è legato soprattutto alla ricerca di opportunità
di sopravvivenza, ossia una migrazione da stati poveri verso nazioni
più ricche. Chi invece occupa un insediamento Rom in Italia
lo fa da anni ed ha, di fatto, abbandonato il nomadismo.
Coloro che sostengono le ragioni di questo popolo lo fanno soprattutto
appellandosi alla necessità di conservare la loro cultura.
Nulla da eccepire, la cultura è una cosa preziosa che va conservata
e tutelata, è la memoria di un popolo. Siamo, però,
altrettanto certi che le tradizioni non devono prevalere sulla legge
di uno stato. Invece in Italia si interpreta la “tutela della cultura”
come uno speciale lasciapassare che permette di infrangere molte leggi
in nome di quel buonismo che arreca danni soprattutto al popolo Rom
e li allontana sempre di più dagli altri cittadini. In tutto
questo c’è l’ipocrisia di uno Stato che colloca gli insediamenti
ai confini dei municipi o della città, disinteressandosi completamente
delle condizioni di vita di queste bidonville, dei servizi necessari
alla sopravvivenza, della scolarizzazione dei bambini. Un atteggiamento
ipocrita che alimenta la frattura e allontana l’integrazione. Lasciare
che un insediamento predisposto per 150 persone, come lo era via Salviati,
sia occupato da oltre 400 elementi lascia spazio solo a faide interne
fra etnie diverse e crea una situazione di emergenza umanitaria in
cui gli “occhi distratti delle Istituzioni” fanno il danno maggiore.
Spendere 36 milioni di euro per un piano nomadi (ci chiediamo ancora
chi siano i nomadi), che è servito solo ad allontanarli dalle
nostre città, è demenziale. Se questa mole di denaro
fosse stata utilizzata in maniera più razionale, sarebbe stata
la prima picconata data al muro di indifferenza e di intolleranza.
A nostro parere, per una vera integrazione, il passo maggiore spetta
al popolo Rom che deve dare un segnale preciso abbandonando per sempre
i traffici illeciti e le ruberie per far prevalere quella voglia di
integrazione che rileviamo soprattutto nei più giovani.
Antonio
Barcella
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