21
agosto 2013 – Una iniziativa di Legambiente che troverà
certamente l’adesione di tante persone: una petizione
sulla ripartizione dei costi dei rifiuti. Sono trascorsi 16 anni
dall’approvazione del decreto Ronchi e diverse cose sono cambiate.
La rivoluzione della gestione sostenibile dei rifiuti ha preso il
via, e ha cambiato gli stili di vita di tanti cittadini (è
il caso dello stop ai sacchetti di plastica non compostabile), ha
raggiunto territori considerati persi (come nel centro sud dove sono
diversi i Comuni ricicloni), ha permesso lo sviluppo di esperienze
industriali del riciclo, uno dei pilastri della nostra green economy.
I problemi irrisolti - Ci sono però ancora
tante cose che non vanno. Sul fronte del riciclaggio le buone pratiche
di raccolta differenziata sono rare in regioni in emergenza come Sicilia,
Puglia e Calabria ma anche in Liguria e Valle d'Aosta, mentre al centro
sud c’è ancora una carenza di impianti per trattare l’organico.
Sulla riduzione ancora non ci siamo. Le politiche nazionali da parte
del Ministro dell'ambiente sono assenti mentre la tassazione a carico
delle famiglie, efficace anche per incidere sulla produzione rifiuti,
è ancora iniqua e ignora il principio "chi inquina paga"
(solo un migliaio di Comuni fa pagare con la tariffazione puntuale).
Anche sui controlli le cose non vanno bene. Dopo il referendum sui
monitoraggi ambientali del 1993, il sistema di Agenzie regionali per
la protezione dell’ambiente si è andato strutturando in maniera
non omogenea, con alcuni casi di eccellenza e altri caratterizzati
da evidente inadeguatezza. Nel frattempo continuano a farla da padrone
in diversi territori i “signori” delle discariche o degli inceneritori,
che anestetizzano ogni sviluppo di un ciclo virtuoso dei rifiuti fondato
su riciclaggio e prevenzione.
Le prossime sfide - La svolta è dietro l’angolo
ma la strada non è in discesa. Sullo smaltimento in discarica
dobbiamo pretendere il rispetto della direttiva europea e utilizzare
la leva economica per aumentare i costi, modificando l’ormai superata
legge sull’ecotassa del 1995. Le Regioni devono rimodulare l'attuale
ecotassa, facendo pagare i Comuni in base al raggiungimento degli
obiettivi di legge sulla differenziata. Sulla riduzione la diffusione
delle buone pratiche locali è importante, ma non basta. Il
ministero dell’Ambiente deve adottare un serio programma nazionale
di prevenzione, obbligando il mondo della produzione e della distribuzione,
oltre a tutti gli altri soggetti (commercianti, agricoltori, artigiani,
enti locali, aziende di igiene urbana) a cambiare rotta, come avvenuto
con successo in Germania negli ultimi 20 anni utilizzando la leva
economica.
Chi produce più rifiuti deve pagare di più:
questo deve valere per le aziende (ci sono imprese italiane che lavorano
sul mercato nazionale, esportano in Germania e imballano lo stesso
prodotto in due modi diversi e questo non è più accettabile)
ma anche per i nuclei famigliari (il nuovo tributo sui rifiuti - la
Tares - deve essere equo e puntuale per far pagare meno le famiglie
più virtuose). Per rendere più gusta la fiscalità
sui rifiuti abbiamo, quindi, lanciato una petizione.
Sul recupero energetico, il quadro impiantistico è
ormai saturo. Negli ultimi 10-15 anni al centro sud sono
stati costruiti diversi impianti per bruciare i rifiuti, colmando
un deficit infrastrutturale che per anni è stato raccontato
furbescamente come una delle cause delle emergenze. In questo nuovo
scenario non si dovranno più costruire nuovi inceneritori/gassificatori,
che com’è noto non possono essere modulati nel flusso di rifiuti
alimentati al forno e che quindi sono un evidente problema per la
futura e auspicata massimizzazione del riciclo e lo sviluppo delle
politiche di prevenzione. Gli inceneritori esistenti a fine vita poi
vanno smantellati e sostituiti da impianti per il recupero di materia
e da digestori anaerobici, optando solo a determinate condizioni e
in modo temporaneo per il recupero energetico negli impianti industriali
esistenti.
Massimizzando infatti il riciclaggio e le politiche di prevenzione,
e non avendo grandi spazi come negli Usa per utilizzare la discarica
come soluzione ponte, nella fase di transizione sarà possibile
utilizzare il combustibile da rifiuti (Css) in parziale co-combustione
nei cementifici o nelle centrali a carbone, per sostituire parte degli
combustibili inquinanti utilizzati oggi (petcoke, polverino di carbone,
etc.). Questa opzione andrà praticata laddove necessario (non
ha senso dove ci sono inceneritori a meno che non li si voglia dismettere),
per quantitativi limitati a quello che non è altrimenti riciclabile,
evitando rigidi obblighi di conferimento e optando per contratti brevi
(per molti cementifici la priorità è la chiusura, visti
il surplus nazionale di offerta, l’inquinamento causato e la loro
localizzazione ormai sbagliata, evitando la delocalizzazione all’estero).
Per quanto riguarda il rafforzamento del sistema dei controlli
si deve passare attraverso una ridefinizione normativa del ruolo delle
Agenzie per la protezione dell’ambiente, oltre che attraverso la condivisione
delle buone pratiche messe in campo finora in diverse parti d’Italia,
replicandole nei territori ancora scoperti. Per fare in modo che si
possa ridurre e riciclare prima di tutto, occorre infine rivedere
il sistema degli incentivi: la discarica e il recupero energetico
devono essere le due opzioni più costose, il riciclaggio e
la prevenzione quelle più economiche. Solo così potremo
rendere l’Italia “rifiuti free”, facendola diventare uno dei paesi
capofila di quella società europea del riciclaggio ben delineata
nella normativa comunitaria più recente.
Antonio
Barcella
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