30
agosto 2013 – Come è nostra prassi diamo spazio a
tutte le voci in modo che il lettore possa farsi la propria opinione
senza condizionamenti di sorta. È per questo che, dopo l’intervista
ad un abitante di Tor Sapienza/Collatino sulla questione rom, diamo
risalto alla lettera
che i rom di via Salviati hanno scritto al Sindaco Ignazio Marino.
In questa missiva la comunità rom insediata dallo scorso giugno
in via Salviati, nella periferia est della Capitale, chiede di non
essere più costretta a vivere nei “campi” e di iniziare nuovi
percorsi condivisi di inclusione sociale. Per l’Associazione 21 luglio,
l’appello rappresenta la possibilità, per Roma, di mettere
in atto quelle nuove politiche di integrazione previste dalla “Strategia
Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti”, adottata dall’Italia
nel 2012.
«Caro sindaco, siamo e ci sentiamo cittadini di questa città,
dove viviamo da trent’anni - si legge in uno dei passaggi chiave della
lettera, che porta la firma di Sandor Dragan Trajlovic, portavoce
della comunità -. Siamo orgogliosi di essere cittadini italiani
e cittadini d’Europa. Siamo cittadini rom che credono nell’inclusione
e che sognano di poter avere piena cittadinanza in questa bella città.
Per questo le chiediamo di ascoltare il nostro desiderio di essere
cittadini come gli altri, senza discriminazione e senza ghettizzazione»
(GUARDA
il video dell'appello).
Lo
scorso giugno i 152 rom che attualmente si trovano nell’insediamento
informale di via Salviati sono fuggiti dal “villaggio attrezzato”
di Castel Romano, dove vivevano dal 2010, in seguito a ripetuti episodi
di violenza da parte di altri abitanti del “campo”.
«Vivere nel campo ci fa sentire come all’interno di un ghetto,
riservato a 1300 rom - scrive al sindaco la comunità -. Si,
il campo di Castel Romano è effettivamente un ghetto, isolato
dalla città, insicuro, recintato, chiuso, dove non esiste alcuna
possibilità di inclusione sociale. Abbiamo paura per noi e
per i nostri figli, perché vivere a Castel Romano significa
vivere nella sofferenza e rinunciare al futuro. Dopo trent’anni non
ce la facciamo più a vivere nei ghetti. Costringerci a farlo
rappresenta per noi un atto di discriminazione».
In seguito a un’ordinanza del sindaco, il 12 agosto scorso le forze
dell’ordine avrebbero dovuto sgomberare l’insediamento di via Salviati.
Lo sgombero, tuttavia, è stato sospeso e rimandato di alcuni
giorni. La comunità rom, ad oggi, vive nella costante tensione
per un imminente sgombero e per il rischio di essere trasferita nuovamente
a Castel Romano. Consapevole della necessità di non poter e
non voler restare nell’attuale insediamento di via Salviati, la comunità
lancia quindi un appello al sindaco per iniziare una nuova stagione
di dialogo e un percorso all’insegna dell’inclusione.
«La mia comunità è disponibile a rimboccarsi
le maniche e ad assumersi delle responsabilità per intraprendere
un percorso che non ci porti più a vivere nei campi e nel degrado,
per essere inclusi, per integrare i nostri figli, per avere un futuro
migliore. Ci chiamano nomadi ma non è quello che siamo e ci
sentiamo», prosegue la lettera.
«Questo appello rappresenta la possibilità di trasformare
il “problema dei rom di via Salviati” in una opportunità storica
per sperimentare percorsi virtuosi di inclusione sociale così
come previsto e richiesto dalla Strategia Nazionale di Inclusione
di Rom, Sinti e Camminanti», afferma l’Associazione 21
luglio. La politica dei “campi”, alimentata dalla passata Amministrazione
con il Piano Nomadi, non ha prodotto che segregazione abitativa e
concentrazione su base etnica.
«È il momento che anche a Roma, come già avviene
in altre città italiane, ai rom vengano offerte soluzioni diverse
da quelle dei “campi”. Passare dalla ghettizzazione all’inclusione
sociale: è questa la grande occasione che Roma ha davanti a
sé per dimostrarsi Capitale europea attenta ai diritti umani
e ai bisogni delle categorie più svantaggiate»,
conclude l'Associazione.
Antonio
Barcella
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