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ottobre 2013 – La politica dei “campi nomadi”, che da anni
caratterizza l’atteggiamento delle istituzioni italiane nei confronti
di rom e sinti, si basa sull’assunto infondato per cui queste comunità
sarebbero nomadi e ha alimentato, nel tempo, la loro ghettizzazione
e segregazione. Per questo, è opportuno abrogare le Leggi regionali
che istituzionalizzano i “campi nomadi” e promuovere politiche in
favore dell’inclusione sociale di tali comunità.
Con la nuova Campagna “Stop all’apartheid dei Rom!”, che prende avvio
quest’oggi, l’Associazione 21 luglio dice basta a ogni forma di discriminazione
nei confronti dei rom e sinti che vivono nel nostro Paese.
Nell’ambito della campagna, l’Associazione presenta il rapporto “Questione
rom: Dal silenzio dello Stato alle risposta di Regioni e Province”
in cui vengono analizzate nei dettagli le Leggi regionali che hanno
portato alla creazione dei “campi nomadi”, e lancia l’appello nazionale
con raccolta firme “Inclusione per le comunità rom e sinte
in Italia” per chiedere ai Presidenti delle Regioni Lazio, Lombardia,
Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Sardegna, Friuli Venezia Giulia
e Umbria l’immediata abrogazione delle rispettive Leggi regionali.
Dei circa 170 mila rom e sinti che vivono in Italia, 40 mila vivono
all’interno dei cosiddetti “campi nomadi”. La politica dei “campi”,
nel nostro Paese, ha preso avvio nel 1984 quando nove Regioni italiane
e la provincia autonoma di Trento hanno approvato leggi ad hoc per
la «tutela delle popolazioni nomadi», ispirate all’idea
di tutelare il diritto al nomadismo delle comunità rom e sinte.
Queste leggi, in nome della presunta «tutela delle popolazioni
nomadi», prevedono la creazione di insediamenti per comunità
erroneamente ritenute “nomadi”, ovvero incapaci e non desiderose di
adattarsi ad una vita in una abitazione convenzionale.
A tal proposito nel “Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione
di Rom, Sinti e Camminanti in Italia” condotta e presentata dalla
Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti
Umani il 9 febbraio 2011 si legge: «A differenza di quanto comunemente
si crede, la stragrande maggioranza dei Rom, Sinti e Caminanti presenti
sul territorio italiano non è nomade e ha anzi uno stile di
vita sedentario».
Allo stesso modo, la Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, dei
Sinti e dei Camminanti adottata dall’Italia in sede europea il 29
febbraio 2012, ha riconosciuto come sia «ormai superata la vecchia
concezione, che associava a tali comunità, l’esclusiva connotazione
del “nomadismo”, termine superato sia da un punto di vista linguistico
che culturale e che peraltro non fotografa correttamente la situazione
attuale».
Negli
anni le Leggi regionali, assieme allo stereotipo mai superato nell’immaginario
collettivo di “rom=nomade”, hanno di fatto legittimato e sostenuto
politiche incentrate sulla costruzione di insediamenti riservati ai
soli rom, in spazi isolati, recintati, distanti dalla città
e lontani dai diritti, favorendo così la ghettizzazione, la
stigmatizzazione e la segregazione delle comunità rom e sinte
in Italia
Si è
in tal modo istituzionalizzata una sospensione dei diritti umani di
rom e sinti attraverso norme progettate specificamente solo per loro.
Con la
Campagna “Stop all’apartheid dei Rom!” e con l’appello “Inclusione
per le comunità rom e sinte in Italia”, l’Associazione 21 luglio
è convinta che combattendo l’esclusione e la discriminazione
attraverso una legislazione adeguata e implementando programmi efficaci
a promuovere l’inclusione sociale dei rom e dei sinti, sarà
possibile rompere il muro dell’apartheid che di fatto separa oggi
la società maggioritaria dalle comunità rom e sinte
presenti sul nostro territorio.