21
agosto 2014 –
“Questa non è una normale cerimonia di insediamento: è
per me, ed anche per voi, un esame di coscienza. Sento le enormi responsabilità
del mio ufficio; e sento anche il dovere — qualcuno doveva pure assumerlo
— di dirigere i lavori dell'Assemblea secondo le norme del Regolamento
e delle esigenze della funzionalità parlamentare. Cercherò
di avere il consenso dei Gruppi ; ad ogni modo, farò il mio
dovere. Affronto quest'opera con la stessa fermezza con la quale andai,
con i capelli già grigi, sul Carso.” Con queste parole
Meuccio Ruini il 25 marzo 1953 commentava la sua elezione a Presidente
del Senato. Un mandato breve, circa tre mesi, ottenuto nella
speranza di operare una mediazione che mettesse fine allo scontro
parlamentare in atto sulla “legge
truffa”. Ruini riuscì a dirigere con fermezza
il dibattito diventando una sorta di punto di riferimento privilegiato
delle polemiche dei partiti della sinistra. Alle successive elezioni
politiche rifiutò ogni candidatura, preferendo uscire di nuovo
dalle scene e proiettarsi negli studi.
Meuccio Ruini, pseudonimo di Bartolomeo Ruini nacque a Reggio Emilia
il 14 dicembre 1877 e morì nella nostra città il 6 marzo
1970. È stato un significativo uomo politico italiano: fu ministro,
presidente del Senato e senatore a vita. Dovendosi mantenere agli
studi partecipò, nel 1903, ad un concorso presso il Ministero
dei Lavori Pubblici e si piazzò al primo posto. Presto si guadagnò
la fiducia dei responsabili del dicastero e percorse una rapida carriera,
tanto che nel 1912 divenne direttore generale dei servizi speciali
per il Mezzogiorno. Nel 1904 si accese improvvisamente il suo interesse
per i problemi della politica e aderì al Partito Socialista.
Le sue idee innovatrici furono accolte con favore dall’ala riformista
del Partito Socialista (Turati, Bonomi, Bissolati) e nel 1907 fu eletto
consigliere comunale a Roma e provinciale a Reggio Emilia. Nel 1908
venne incaricato dal Ministero di coordinare gli interventi e i piani
di ricostruzione del post terremoto di Messina, cosa che gli permise
di entrare in contatto coi maggiori esponenti del radicalismo meridionale.
Nel 1913 fu eletto Deputato per la lista radicale nel collegio di
Castelnuovo Monti, determinando una rottura con il partito socialista.
Interventista, partecipò alla Prima guerra mondiale, meritandosi
l'elogio di Nitti alla Camera e del generale Diaz. Fu rieletto deputato
nel 1919, per la lista radicale, ed entrò a far parte del gabinetto
Vittorio Emanuele Orlando come Sottosegretario all'Industria, Commercio
e Lavoro; nel successivo Governo Nitti I rivestì la carica
di Ministro delle Colonie. Nel novembre del 1924 aderì all'Unione
Nazionale di Giovanni Amendola. Fu poi costretto, all'affermarsi del
fascismo, ad abbandonare tutte le attività, vivendo di una
modesta pensione. Nel
1942, dopo aver conservato rapporti con l’antifascismo romano, fondò
in clandestinità, insieme con Ivanoe Bonomi, il Partito della
Democrazia del Lavoro di cui, l’anno successivo, divenne segretario.
Divenne alla caduta del fascismo un promotore del Comitato delle forze
antifasciste e poi del C.L.N. in rappresentanza di Democrazia del
Lavoro. Nel 1944 fu ministro senza portafoglio nel Governo Bonomi
e Ministro dei lavori pubblici nel rimpasto del 12 dicembre 1944.
Dal gennaio del 1945 divenne presidente del C.I.R. (Comitato interministeriale
della ricostruzione) e Presidente del Consiglio di Stato. Suo consigliere
economico fu il giovane Federico Caffè. Fu poi eletto deputato
all'Assemblea Costituente (2 giugno 1946) e divenne Presidente della
“Commissione dei 75”, incaricata di redigere il testo costituzionale.
Nel 1953 fu eletto Presidente del Senato ma fu duramente contestato
per l'atteggiamento avuto durante il dibattito sulla legge truffa.
Si ritirò dalla politica attiva. Fu poi presidente del C.N.E.L..
Il 2 marzo 1963 fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica,
Antonio Segni.
Antonio
Barcella
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