Associazione 21 Luglio: “Le baraccopoli romane si possono chiudere in 5 anni

23 marzo 2016 - A Roma, il fenomeno delle baraccopoli, dove per trent’anni hanno vissuto circa 100 mila baraccati italiani, non si è esaurito negli anni Ottanta con l’abbattimento delle ultime baracche. Anche oggi, circa 8 mila persone – tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari – vivono nelle baraccopoli romane e, come allora, il prossimo sindaco della Capitale sarà chiamato ad affrontare con urgenza la questione individuando soluzioni abitative alternative, incentrate sul disagio sociale delle persone piuttosto che sulla loro appartenenza etnica.

Lo afferma Associazione 21 luglio che stamane, in una conferenza stampa a Palazzo Valentini, ha presentato ai candidati sindaco nella Capitale il documento “Roma: oltre le baraccopoli. Agenda politica per ripartire dalle periferie dimenticate”: un piano concreto per chiudere in cinque anni le baraccopoli romane, sottoscritto da 13 intellettuali e realizzato in collaborazione con Tommaso Vitale, professore associato di Sociologia presso Sciences Po – Università La Sorbona di Parigi. Hanno partecipato all'iniziativa anche i candidati sindaco a Roma Virginia Raggi, Roberto Giachetti e Stefano Fassina.

Il documento si attiene alla definizione di “baraccopoli” fornita dall’Agenzia delle Nazioni Unite UN-HABITAT, secondo cui questi luoghi, svantaggiati ed emarginati, sono caratterizzati da una condizione di povertà e da grandi agglomerati fatiscenti, estromessi dai principali servizi base, i cui abitanti non hanno la sicurezza del possesso e sono esposti a sgomberi, malattie e violenza.

Il fenomeno delle baraccopoli romane, ufficialmente chiuso negli anni Ottanta ma riproposto con l’arrivo delle nuove comunità rom jugoslave prima e rumene dopo – si legge nell’Agenda – è stato regolamentato nella città di Roma attraverso un approccio culturalista che ha affondato le sue radici in un abbaglio: i nuovi migranti sono diversi da quelli giunti nel dopoguerra, sono cittadini “nomadi” che non sanno e non desiderano vivere in abitazioni ordinarie.

L’alternativa alla baracca, per queste persone, non è stata più considerata la casa, come era stato fino al decennio precedente, ma il “campo nomadi”, ribattezzato successivamente “villaggio attrezzato” e “villaggio della solidarietà”.

«In campagna elettorale ai candidati sindaco viene puntualmente chiesto come pensano di affrontare il problema dei rom – ha affermato Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – Ma una domanda di questo tipo ha al suo interno la trappola dell’etnicità. Quando si è messa definitivamente la parola fine sulle baraccopoli romane, il sindaco Petroselli non si è mai posto la questione dell’origine etnica delle persone ma ha pensato a garantire un alloggio dignitoso a tutti i cittadini che non sono in grado di averlo. La domanda giusta da porre ai candidati dovrebbe dunque essere: “Qual è il suo programma sulle baraccopoli (che sono abitate da persone di cittadinanza italiana, rumena, serba, peruviana, bosniaca…”?».

Eppure, il piano straordinario per l’emergenza abitativa della Regione Lazio, che ha stanziato 250 milioni di euro per 1.200 alloggi nella Capitale, ha escluso, ancora una volta, gli abitanti delle baraccopoli, limitando il sostegno abitativo ai nuclei in graduatoria per un alloggio popolare, agli abitanti dei residence e delle occupazioni.

L’Agenda sottoposta ai candidati sindaco da Associazione 21 luglio presenta un piano concreto per la prossima Amministrazione, costituito da quattro macro-azioni, per la chiusura graduale e definitiva di tutte le baraccopoli romane nel quinquennio 2016-2021, attraverso: 1) un’analisi del fenomeno e delle risorse, che preveda una mappatura delle baraccopoli e il censimento delle molteplici e diversificate soluzioni abitative da offrire alla famiglie, a seconda dei loro bisogni; 2) la regolarizzazione giuridico-amministrativa, con il coinvolgimento di Prefettura, Questura, Ambasciate e Consolati, degli abitanti delle baraccopoli e l’adozione di linee guida in materia di sgomberi; 3) l’elaborazione di un piano strategico, in cui fondamentale sarà il monitoraggio delle azioni realizzate; 4) la costruzione del consenso attraverso il dialogo con i media e con la società civile.

«È quanto mai urgente che il prossimo primo cittadino si impegni a superare la piaga delle baraccopoli romane, offrendo una risposta di carattere sociale ai reali bisogni delle periferie e mettendo fine a decenni di politiche di segregazione, esclusione e caratterizzate da ingenti sprechi di denaro pubblico e dinamiche corruttive – ha concluso Stasolla – Del resto, il prossimo sindaco, appena eletto, troverà sulla sua scrivania almeno quattro situazioni che sarà chiamato ad affrontare e sulle quali dovrà dimostrarsi preparato: la fuoriuscita di 325 persone da un centro dove vivono ex baraccati; la chiusura della baraccopoli La Barbuta disposta dal Tribunale Civile dove vivono 555 persone; il rischio dell’apertura di una procedura di infrazione UE che riguarderà, in primo luogo, proprio la Capitale; e una delibera di iniziativa popolare sul superamento dei “campi” che andrà discussa in seno al Consiglio Comunale, proposta da 9 organizzazioni aderenti al Comitato Accogliamoci».

Comunicato stampa dell'Associazione 21 Luglio
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