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novembre 2017 - Muore una ragazza 14enne per aneurisma
e già si parla dell’ennesimo caso di malasanità.
L’accusa è quella di aver sottovalutato il caso ed
aver eseguito la TAC dopo circa due ore dall’arrivo nel pronto
soccorso. Non entriamo sul caso specifico, sarà compito
della magistratura accertare lo svolgimento dei fatti e le
responsabilità. Quello che vogliamo evidenziare in
questo articolo è il quadro generale dei soccorsi in
ospedale dopo i tagli alla sanità pubblica che hanno
aggravato la situazione. L’ospedale Sandro Pertini è
l’unico presente nel IV Municipio e serve un’utenza di quasi
trecentomila persone. Centinaia di persone, ogni giorno, sono
assistite dal pronto soccorso di questo policlinico e circa
il 15 % di loro sono in codice rosso. Già definire
il codice di assistenza in base alla sintomatologia del male
accusato è una responsabilità che richiede tempo
e viene fatta sulla base delle risposte fornite dal paziente
in base ai criteri stabiliti dalle procedure. Nelle condizioni
attuali di lavoro di queste strutture che operano ogni giorno
a livello critico, è normale eseguire per un codice
giallo una visita medica in circa un’ora e una TAC in poco
meno di due ore. Piuttosto, la domanda da porsi sul caso della
ragazza, è come mai un ospedale, che serve una porzione
di territorio così vasto, non ha un reparto di neurochirurgia.
I veri ritardi sono stati causati dal trasferimento della
paziente dal Pertini verso il Bambin Gesù ossia nell’ospedale
attrezzato per quel tipo di intervento. Due o tre ore che
avrebbero potuto salvare una giovane vita.
Questa è la realtà che si osserva negli ospedali
italiani, non fatevi condizionare dalle serie televisive americane
ambientate negli “emergency room” dove 3 o 4 medici e altrettanto
personale infermieristico sono pronti a soccorrere il malato
di turno. Non scordiamoci che negli Stati Uniti il paziente
paga di tasca propria o con salatissime polizze assicurative
qualsiasi analisi o cura che riceve. Nella nostra nazione
la situazione è ben diversa, lo Stato giustamente assiste
tutti ma occorre fare i conti con le risorse economiche. Per
questo è prassi usuale non avere neppure i posti letto
necessari ad assistere tutti i malati ed è molto frequente
osservare i malati parcheggiati nei corridoi occupando barelle
o addirittura eseguire l’assistenza medica su poltrone o sedie.
La riduzione dei posti letto negli ospedali e la contemporanea
assenza di un’organizzazione valida sul territorio è
un micidiale cocktail che, in certi periodi come durante l’apice
dell’influenza invernale, provoca l’intasamento dell’assistenza
di pronto soccorso e ritardi che possono mettere in pericolo
una vita anche con la massima professionalità del personale
ospedaliero. Se su circa 20 milioni di accessi l’anno al pronto
soccorso solo il 15% è ricoverato, vuol dire che nell’85%
dei casi ci si trova di fronte a una richiesta che con molta
probabilità e in alte percentuali avrebbe anche potuto
avere una soluzione in strutture territoriali opportunamente
organizzate, ma oggi del tutto carenti. E poi non dimentichiamo
che, ogni giorno, nel Pronto Soccorso del Pertini e di tanti
altri ospedali vengono strappate alla morte tante vite umane
e non sempre è facile distinguere una banale influenza
intestinale da una peritonite o un aneurisma da un forte mal
di testa.
Possiamo concludere che la morte di una sola persona fa molto
più rumore di tante vite che ogni giorno vengono salvate
in condizioni di usuale emergenza da bravi medici e personale
infermieristico.
Antonio
Barcella
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