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dicembre 2017 - «Finché non è
arrivato mio figlio, da quel punto della sua vita che lo hanno
diagnosticato affetto dalla Sindrome di Asperger, io per 37
anni e 8 mesi circa, di Spettro Autistico e Sindrome di Asperger
non avevo mai sentito parlare. E da quel giorno mi sono specializzata,
giorno per giorno, sul (titolone): “Disturbo Pervasivo dello
Sviluppo con Sindrome di Asperger”. E già sarebbe da
cambiare questa etichetta lunga un metro. Perché tutte
le persone che ho incontrato e a cui sono accomunata dai figli
Asperger, hanno fatto la mia stessa considerazione: ”Se è
“dello sviluppo” vorrà dire che con lo sviluppo (la
pubertà) ‘sta cosa sfuma, migliora, sparisce, regredisce.”
Invece significa, con un po’ di sadismo da parte di chi l’ha
ideata, che si sviluppa con la persona. Cioè cresce
con il ragazzo Asperger. Parlo di “maschi”, perché
è una cosa risaputa che, come l’autismo, questa sindrome
colpisce di più i maschi che le femmine, in un rapporto
di una a quattro. Una cosa l’ho scoperta subito: che non esistono
due persone nello Spettro Autistico che si somiglino. Anzi,
ogni persona ha la propria Sindrome Autistica. Alcuni amici
di mio figlio, amici con Sindrome Asperger, hanno papà
(e una mamma) “bizzarri”. Gente a posto, per carità,
genitori attenti e un po’ imbarazzati dalle “stranezze” del
figlio già al primo incontro. Poi se continui a frequentarli,
una cena tra figli diventa una cena tra famiglie e si va tutti
al ristorante insieme, ecco che scoppiettando escono le piccole
sfumature stravaganti. Nei papà quanto nei figli. Sono
sfasature come quando la tivù distorce un po’ l’immagine.
Si capisce la storia, in fondo è chiara, ma ogni tanto
appare una riga sullo schermo. “Problemi di sincronizzazione”
sarà la risposta se chiami il tecnico.
La Sindrome di Asperger, semplificando fino all’osso, è
solo un problema di sincronizzazione. A volte sono gesti che
in quel momento nessuno farebbe. O ridere quando il discorso
è dannatamente serio e non c’è nessuna ironia
nel tono. A volte parli e quasi stai per rinunciare a finire
il discorso e ti colpiscono con una risposta così esatta,
“ma come?”, non stava neppure guardando verso di te! O le
parole. Il senso del discorso si capisce ma ha usato un parolone
che in quel contesto stona. Nessuno lo direbbe… E guai a nominare
la musica, i computer, i dinosauri, i treni… Prima o poi direte
la parolina che fa scattare tutta la loro sapienza. C’è
sicuramente un argomento che scatena la loro voglia di erudirvi
fino nel più piccolo particolare, o forse vogliono
mostrarvi che in qualcosa primeggiano e non è possibile
coglierli impreparati. A volte è un argomento che esula
dal discorso che avete intavolato ma pur di arrivare a parlarne
useranno tutta la loro dialettica. “Iper verboso”. E’ una
delle sfumature della diagnosi. Parlare fino a creare una
parete di parole che possa tenere a distanza tutti. Un muro,
un fiume di parole. Per non sentire la confusione che c’è
dentro? Per non sentire il silenzio? E allora che problema
è? Perché chiamarlo Disturbo? Perché
parlare di terapia riabilitativa? Perché hanno l’”Indennità
di Frequenza”, il “Sostegno” in classe, a volte l’”Accompagno”?
Perché alcuni, intelligentissimi, sono impreparati
e inetti di fronte ai piccoli fatti quotidiani della vita?
Chiedere un biglietto dell’autobus può essere un problema
insormontabile. Anche ricevere un resto. Rimarranno lì
impalati, guardandosi i piedi e contorcendosi le mani, o il
laccio della tuta ma non diranno cos’è che li blocca.
Sarà che uno degli euro di resto non è del 2009,
ma del 2013. Lui accetta il resto, lo sa contare, ma deve
essere del 2009. Quando la sincronizzazione salta non c’è
tecnico che possa ripararla. Bisognerà trovare un euro
del 2009. E in fretta. Altrimenti urlerà o inizierà
a ripetere una specie di litania (magari è la pubblicità
del Tonno Rio Mare o il jingle dell’ 89 – 24 – 24!) che lo
chiuda in una bolla iper-spaziale. Deve essere protetto perché
c’è un fail nel sistema. E il “sistema” che va in tilt
è il nostro corpo.
Noi, i normali, i neuro tipici (come dicono i medici) impariamo
anche in maniera intuitiva come e perché comportarci
in un certo modo. Loro, le persone nello Spettro non hanno
questa capacità. Quindi molti atteggiamenti sono fuori
luogo, strani, imbarazzanti. A questo si aggiungono problemi
sensoriali. Cioè tutti e cinque i sensi (udito, tatto,
gusto, olfatto, vista) sono sviluppati di più o di
meno rispetto alla media normale. Quindi percepiscono lo sfarfallìo
dei neon a mensa (e si agitano). I rumori che arrivano da
più punti contemporaneamente, per esempio in palestra
(e si agitano). I sapori e le consistenze di molti cibi provocano
una sensazione non solo di disgusto ma di dolore fisico (e
si agitano). Toccare o essere toccati provoca sensazioni dolorose
sulla pelle o senso di soffocamento (e si agitano). Alla fine,
tutta questa agitazione, quest’ansia provoca urla, gesti scomposti,
si buttano a terra, ripetono all’infinito delle cantilene…
Tutto per calmare quest’ondata di super-sensazioni che li
travolge. Non sono capricci. Non sono viziati. E’ come provare
a seguire una lezione di algebra in una discoteca. Un ricordo:
all’ennesima visita sentirsi dire che la goffaggine è
innata e che “prodezze” come andare in bicicletta sono precluse.
Al mare lui che scalpita guardando i ragazzini andare sul
surf. Ma sì! Di soldi se ne buttano tanti in visite
e controlli, proviamo. Parlotto con l’istruttore, spiego la
parte di Asperger che riguarda lo scoordinamento motorio.
Lui annuisce, non è esperto di Asperger e di neurologia
ma conosce i bambini. Prende una tavola larga e ci sale con
mio figlio. Si danno le mani, uno di fronte all’altro. Non
so, da riva, chi sostiene chi ma stanno in piedi! Mio figlio
è in piedi su una tavola da surf. Torna a riva entusiasta
e vuole fare il corso. Ho quella prima foto con lui flesso
sulla tavola, le braccia allargate, il viso proteso in avanti,
che scivola sull’acqua. E’ Fregene, ma sembra la California,
baby!
Cosa vuol dire vivere giornalmente con un Asperger?
Soprattutto che le sue fissazioni (diciamo abitudini) condizionano
la famiglia intera. Alcune possiamo accettarle e integrarle
alle abitudini degli altri (tutti abbiamo qualche abitudine,
vizio, fissazione, mania). Alcune proprio particolari e bizzarre
bisogna decidere: se impediscono o impediranno una vita “normale”
è meglio sradicarle sul nascere. Ogni volta che vuole
fare quella cosa “stramba” farne subito un’altra. Cantare,
saltellare, soffiare bolle di sapone (anche in casa, senza
paura! Una casa in ordine e un figlio in disordine non sono
la giusta soluzione) uscire e mostrargli il mondo. In tempi
non sospetti (prima dell’uscita di “Se ti abbraccio non avere
paura” con la storia del viaggio on the road di padre e figlio
autistico) con mio marito e i miei figli abbiamo intrapreso
tanti viaggi. Per destabilizzare le ruotine di un Asperger
non serve andare a dormire in tenda o praticare sport estremi.
Basta cambiare casa, o cibo, colore della coperta sul letto
e per un Asperger sei su Marte… Ovviamente, non sempre è
facile convincere il bambino a smettere di fare qualcosa che
per noi genitori è imbarazzante o agli occhi della
società è riprovevole che un ragazzo faccia.
E diventa sempre più difficile man mano che il bambino
diventa ragazzo e poi uomo (o la minoranza femminile che da
bambina diventa donna). A volte si ingaggiano vere e proprie
lotte fisiche, con urla, schiaffi e cazzotti sui mobili. Se
ci rimettono solo i mobili, già va bene … Capita che
i vicini si spaventino e il mattino dopo ti guardino strano
in ascensore. E gli inviti a cene e feste si diradano. O è
la stessa famiglia a non voler più partecipare, per
evitare il sorrisetto ironico della parente che pensa:”Lo
avessi io per le mani, in una settimana te lo raddrizzo per
bene! Guarda quanto è viziato!” L’isolamento della
famiglia, soprattutto del padre e della madre, è quasi
fisiologico.
Tra scuola, terapie, situazioni problematiche da evitare,
la vita comincia a svolgersi solo attorno al ragazzo. La coppia
non viene aiutata a sopportare questo stravolgimento nella
loro vita. Nella maggior parte delle coppie, i genitori reagiscono
in modo differente allo stress di avere un figlio nello Spettro
Autistico: uno dei due (è un pregiudizio che sia per
forza la mamma), si fa carico del problema e va agli appuntamenti
terapeutici, parla con la scuola, provvede ai bisogni del
figlio. E si allontana dal partner che, spesso, trova rifugio
nel lavoro e cerca di tornare a casa quando il figlio è
a dormire e i problemi della giornata sono ormai passati.
Il genitore si sente necessario e competente al lavoro, realizzato.
Mentre a casa la famiglia si sta sgretolando e non sa che
fare. L’altro, che si sobbarca tutto l’impegno quotidiano
di sostenere il figlio, si svuota e vorrebbe essere sostenuto
e coccolato, ma non riceve nessuna attenzione. A meno che
la coppia non accetti un aiuto di un consultorio familiare
o di un consulente di coppia, la separazione è la strada
più facile. Quelle coppie che sono capaci di confrontare
i loro sentimenti di rabbia, di sensi di colpa, di frustrazione
in modo sincero ed aperto, riescono ad emergere dal periodo
devastante che segue la diagnosi e sono più forti come
famiglia. Concludendo: gli Autismi sono tanti quante le persone
coinvolte. Le famiglie restano l’isola felice in cui questi
ragazzi sono cullati, protetti, preparati ad affrontare la
vita, la scuola, il lavoro. La vita di coppia ne risente,
almeno per la prima fase, poi ci si rialza e si riprende il
cammino con speranza. La speranza non è tanto di vedere
i nostri figli “guariti”, perché questo è il
modo di vivere e vedere la vita che loro hanno. Non c’è
un “virus Autismo”. La speranza è che i pregiudizi
delle persone finiscano. E’ già difficile così,
non ci serve essere criticati e biasimati. Mentre ci servirebbe
essere invitati per un caffè… »