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settembre 2018 - Con il termine favela si indicano
le baraccopoli brasiliane, costruite generalmente nella periferia
delle maggiori città. Le abitazioni sono costruite
con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati
dall'immondizia e molto spesso le coperture sono precarie
o addirittura inesistenti. Problemi comuni in questi quartieri
sono il degrado, la criminalità diffusa e gravi problemi
di igiene pubblica dovuti alla mancanza di idonei sistemi
di fognatura e acqua potabile.
Questo fenomeno dovuto alla povertà e all’emarginazione
si sta intensificando anche nella nostra periferia pur se
chiamato in maniera diversa: insediamenti abusivi, villaggi,
occupazioni di edifici abbandonati. Soprattutto nel tiburtino
si assiste impunemente al proliferare di questa situazione
e gli interventi di sgombero non fanno altro che spostare
di poche centinaia di metri il degrado che accompagna questi
insediamenti spontanei. È notizia di pochi giorni fa
dell’intervento delle forze dell’ordine in via Raffaele Costi
per liberare un edificio noto per la sua criticità
sociale dove vivevano circa duecento persone di etnia diversa
che in comune avevano solo la loro disperazione. Una bomba
sociale che andava disinnescata prima della sua deflagrazione.
Un’ immensa discarica circondava tutto lo stabile e già
nel passato aveva creato pericolo per gli occupanti e per
il territorio intorno a causa di un rogo gigantesco. Luogo
di spaccio e di illegalità dove vivevano uno accanto
all’altro individui di nazionalità diversa alla ricerca
del “sogno europeo” che per molti resterà soltanto
qualcosa che assomiglia ad un incubo. Il concetto o il progetto
di “accoglienza”, che riempie le bocche di tanti politici,
è naufragato prima di partire. Occorre prendere atto
che non siamo in grado di assistere nessuno o non abbiamo
le risorse necessarie per farlo e questo crea solo altra disperazione.
Se non siete mai entrati in un insediamento rom o in uno di
questi fatiscenti stabili occupati del tiburtino, probabilmente
non avete mai osservato il pericoloso stato igienico sanitario
di quei luoghi, il sovraffollamento delle abitazioni, la violenza
e la prevaricazione che vi regna impunemente e dove spesso
la legge chiude gli occhi, dove è più importante
apprendere come delinquere che imparare a leggere e scrivere.
Ma credete che questa situazione non si conosca? Nella nostra
cara Italia si preferisce ignorare che affrontare quello che
è complesso e difficile, si preferisce non sapere che
rivendicare i nostri diritti. Tutti
conoscono bene come funzionano le cose in questa nazione ma
poi ci si stupisce del politico che ruba, del ponte che crolla,
degli edifici che diventano macerie alla prima scossa di terremoto,
delle centinaia di morti e di invalidi sulle strade incontrollate
del nostro sistema viario, dei numerosi casi di tumore che
non si riescono mai ad associare ai roghi tossici, all’inquinamento
industriale, all’amianto presente ancora in tanti edifici.
Tornando al tema dell’articolo, con le nostre politiche sbagliate
stiamo creando tanti ghetti che prima o poi ci presenteranno
il conto. Luoghi dove regna angoscia e disperazione e dove
la legge resta fuori e si fa sentire solo con operazioni di
sgombero che spostano il problema da un punto all’altro del
territorio. Chi è fuggito dall’edificio di via Raffaele
Costi prima dell’arrivo della polizia, ha trovato rifugio
nell’ex fabbrica di penicillina di via tiburtina o in uno
dei tanti insediamenti rom abusivi (o spontanei) presenti
nel IV Municipio da dove potranno continuare a “vivere” con
espedienti al limite o oltre la legalità, aumentando
il degrado e la paura dei quartieri vicini.
Prossimamente, come annunciato da vari quotidiani, si procederà
all’operazione di sgombero della ex fabbrica posizionata vicino
al quartiere di San Basilio e circa 500 persone si disperderanno
in cerca di nuovi rifugi in fabbriche, casali ed edifici abbandonati
del tiburtino. Non è un gioco, è solo
mancanza di idee e di soluzioni adeguate.
Antonio Barcella
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