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dicembre 2019 - Muoversi nell’intricata matassa dei
Piani di zona di Roma non è un’impresa facile per questo
quando dobbiamo trattare questa materia preferiamo appoggiarci
ad un esperto. Il riferimento che abbiamo scelto è
il Blog
di Fabrizio Colarossi Agente Immobiliare che spesso ci
ha fornito delucidazioni sull’argomento. Per affrancazione
si intende la rimozione del vincolo relativo al prezzo massimo
di cessione e locazione degli immobili realizzati nei Piani
di Zona, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte
del proprietario dell’immobile a favore dell’Amministrazione
Comunale. Possono avvalersi della procedura di affrancazione
tutti i proprietari degli alloggi realizzati su aree ricomprese
nei piani di zona ( I e II P.E.E.P.), sia concesse in diritto
di superficie che cedute in diritto di proprietà, trascorsi
cinque anni dal primo atto di trasferimento (quello cioè
intervenuto tra concessionario/cessionario del diritto di
superficie/proprietà che ha sottoscritto la convenzione
con il Comune di Roma e l’assegnatario/acquirente). Per poter
proporre istanza di affrancazione, occorre:
- che il soggetto richiedente sia l’attuale proprietario dell’immobile;
- che siano trascorsi cinque anni dal primo atto di trasferimento
( quello cioè intervenuto tra concessionario/cessionario
del diritto di superficie/proprietà che ha sottoscritto
la convenzione con il Comune di Roma e l’assegnatario/acquirente).
Premesso questo passiamo ad esaminare la situazione in base
alle ultime novità in materia.
L’avv
Giuseppe Minutoli, attraverso il blog “La
casa di Fabrizio”, fa il punto
sulla situazione Affrancazione nel Comune di
Roma alla luce delle recenti evoluzioni.
"Il
nostro cammino deve prendere le mosse dalla vecchia disciplina
legislativa ed in particolare dalla legge 448/98, art. 31
commi 48 e ss..
In origine la disposizione normativa era:
48. Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà
è determinato dal comune, su parere del proprio ufficio
tecnico, in misura pari al 60 per cento di quello determinato
ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 1, del decreto-legge 11
luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla
legge 8 agosto 1992, n. 359, escludendo la riduzione prevista
dall’ultimo periodo dello stesso comma, al netto degli oneri
di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla
base della variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi
tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello
di stipula dell’atto di cessione delle aree.
Comunque il costo dell’area così determinato non può
essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree
cedute direttamente in diritto di proprietà al momento
della trasformazione di cui al comma 47.
49. E’ esclusa in ogni caso la retrocessione, dai comuni ai
proprietari degli edifici, di somme gia’ versate da questi
ultimi e portate in detrazione secondo quanto previsto al
comma 48.
Successivamente con l’introduzione della legge 216/2011 il
testo della legge era così modificato:
48. Il corrispettivo delle aree cedute in proprieta’ e’ determinato
dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura
pari al 60 per cento di quello determinato ai sensi dell’articolo
5-bis, comma 1, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992,
n. 359, escludendo la riduzione prevista dall’ultimo periodo
dello stesso comma, al netto degli oneri di concessione del
diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione,
accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per
le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese
in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula
dell’atto di cessione delle aree.
Comunque il costo dell’area così determinato non può
essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree
cedute direttamente in diritto di proprietà al momento
della trasformazione di cui al comma 47.
49. E’ esclusa in ogni caso la retrocessione, dai comuni ai
proprietari degli edifici, di somme già versate da
questi ultimi e portate in detrazione secondo quanto previsto
al comma 48.
49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo
massimo di cessione delle singole unita’ abitative e loro
pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle
stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35
della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni,
per la cessione del diritto di proprietà, stipulate
precedentemente alla data di entrata in vigore della legge
17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto
di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi
almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con
convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo
proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo
proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato,
anche per le unità in diritto di superficie, in misura
pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione
del comma 48 del presente articolo.
La percentuale di cui al presente comma e’ stabilita, anche
con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla
durata residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare
del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa
in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. (54)
49-ter. Le disposizioni di cui al comma 49-bis si applicano
anche alle convenzioni previste dall’articolo 18 del testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380.
50. Sono abrogati i commi 75, 76, 77, 78, 78-bis e 79 dell’articolo
3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni,
nonché i commi 61 e 62 dell’articolo 3 della legge
23 dicembre 1996, n. 662.
In questo cotesto legislativo si inseriva la Sentenza della
Cassazione a Sezioni Unite n. 315/2015 la quale dichiarava:
“Al fine della risoluzione del caso in esame, appare dirimente
l’art. 31, comma 49 bis della legge n. 448 del 1998, così
come introdotto dal d.l.n. 70 del 2011, da cui si deduce che
la possibilità di rimuovere i vincoli relativi alla
determinazione del prezzo massimo di cessione in una convenzione
P.E.E.P. (programmi di edilizia economica e popolare) è
subordinata a tre presupposti:
1) che siano decorsi almeno 5 anni dal primo trasferimento;
2) vi sia la richiesta del singolo proprietario;
3) la determinazione della percentuale del corrispettivo sia
calcolata in base a parametri legali da parte del Comune.
Dal testo del comma 49 bis emerge con chiarezza che il vincolo,
quindi, non è soppresso automaticamente a seguito del
venir meno del divieto di alienare ma, in assenza di convenzione
ad hoc, segue il bene nei successivi passaggi a titolo di
onere reale con efficacia indefinita ed è quindi opponibile
anche ai sub-acquirenti.” (Cassazione a SS.UU. sent. n. 18135/2015)
Detta posizione veniva confermata nelle successive pronunce
del giudice di legittimità ed in specie dalla Cassazione
sent. n. 21/2017 per la quale “Il vincolo del prezzo massimo
di cessione degli alloggi costruiti, ex art. 35 della l. n.
865 del 1971, sulla base di convenzioni per la cessione di
aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del
diritto di proprietà se stipulate, quest’ultime, precedentemente
all’entrata in vigore della l. n. 179 del 1992, qualora non
sia intervenuta la convenzione di rimozione, ex art. 31, comma
49-bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene, a titolo
di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà,
attesa la “ratio legis” di garantire la casa ai meno abbienti
ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso,
pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme
da quello vincolato è affetta da nullità parziale
e sostituita di diritto, ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c.,
con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza
della originaria convenzione di cessione”.
La prima conseguenza della legge 216/2011, del DPR 380/2001
e pertanto delle sentenze della Cassazione, era la nullità
parziale dell’atto di compravendita nella parte relativa all’eccedenza
di prezzo e la sostituzione del prezzo di acquisto con quello
massimo di cessione previsto dalla convenzione.
La seconda conseguenza è che la pronuncia da parte
della Suprema Corte di Cassazione scardinava l’interpretazione
data dal Comune di Roma alla vicenda.
Infatti, l’ente territoriale con una famosa nota conferita
al Notariato, sostanzialmente, riteneva che non vi fosse necessità
di alcuna autorizzazione alla vendita qualora fosse trascorso
il termine di cui all’art. 14 delle convenzioni, ovvero un
termine di anni dai 5 ai 20 dall’assegnazione.
Questa posizione è stata espressa anche in molteplici
pareri forniti dagli uffici comunali preposti ai vari soggetti
che, nonostante l’interpretazione estensiva, domandavano nulla
osta alla vendita, il quale veniva puntualmente conferito.
Sempre a seguito della pronuncia prima il Commissario Tronca
e poi l’odierna amministrazione ponevano in essere delle delibere
in cui fissavano il costo dell’affrancazione.
Le prime determinazioni ponevano dei valori molto alti per
la liberalizzazione del bene dai valori della concessione
e solo con delibera 116/2018 si arrivava ad un loro effettivo
abbassamento.
In particolare la delibera 116 oltre a determinare un effettivo
ridimensionamento dei valori di affrancazione, con base di
partenza minima ad € 2.500,00, dava una rigida procedura di
presentazione delle domande.
Al contempo le pronunce della Corte di Cassazione avevano
ingenerato un contenzioso tra acquirenti e venditori, che
vedeva quest’ultimi condannati a corrispondere la differenza
tra prezzo massimo di cessione e prezzo di acquisto, in ragione
delle dichiarata nullità del contratto di acquisto
nella parte riguardante il prezzo e la sua sostituzione con
quello di convenzione.
Siffatta circostanza generava una pressione da parte dell’opinione
pubblica ex parte venditori, i quali, ribadendo la loro buona
fede, per aver ossequiato le direttive comunali, spingevano
il legislatore ad apportare delle modifiche alla disciplina
normativa mediante la legge 136/2018.
Quest’ultima prevedeva e prevede che:
1. il comma 49-bis, dell’art. 31 della legge 448/98, e’ sostituito
dal seguente: “49-bis. I vincoli relativi alla determinazione
del prezzo massimo di cessione delle singole unita’ abitative
e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione
delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo
35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni,
per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione
del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che
siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento,
con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati
a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse,
anche se non più titolari di diritti reali sul bene
immobile, e soggetti a trascrizione presso la conservatoria
dei registri immobiliari, per un corrispettivo proporzionale
alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche
per le unita’ in diritto di superficie, in misura pari ad
una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione
del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui
al presente comma e’ stabilita, anche con l’applicazione di
eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo,
con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa
intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo
9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il decreto
di cui al periodo precedente individua altresì i criteri
e le modalita’ per la concessione da parte dei comuni di dilazioni
di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo.
Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano
agli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli
da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti
nei piani di zona convenzionati”;
2. dopo il comma 49-ter e’ inserito il seguente: “49-quater.
In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis
e 49-ter, il contratto di trasferimento dell’immobile non
produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo
convenuto e il prezzo vincolato. L’eventuale pretesa di rimborso
della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si
estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalita’
di cui ai commi 49-bis e 49-ter. La rimozione del vincolo
del prezzo massimo di cessione comporta altresi’ la rimozione
di qualsiasi vincolo di natura soggettiva”. 2. Le disposizioni
di cui al comma 1 si applicano anche agli immobili oggetto
dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto. 3. Il decreto
di cui al comma 49-bis dell’articolo 31 della legge 23 dicembre
1998, n. 448, come sostituito dal comma 1, lettera a), del
presente articolo, e’ adottato entro trenta giorni dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto».
Da un’attenta lettura delle disposizioni normative si evincono
diverse conseguenze:
1. L’affrancazione non è più onere reale in
quanto, per interpretazione normativa, si lega ai requisiti
soggettivi per l’accesso all’edilizia economica e popolare;
2. La domanda di affrancazione, come vincolo alla vendita,
può essere promossa da chiunque vi abbia interesse
(concedendo quindi anche al passato proprietario di poterla
domandare);
3. Il valore dell’affrancazione sarà determinato da
precipuo decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
4. L’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza
tra prezzo di acquisto e prezzo di cessione, giudizialmente,
fatta dall’acquirente, a qualunque titolo, si estingue con
la rimozione dei vincoli.
Tra le maggiori novità date dalla norma vi è:
1. che la determinazione del prezzo di affrancazione è
rimandata ad un decreto del Ministero dell’Economia e delle
Finanze;
2. che chiunque vi abbia interesse potrà depositare
domanda di affrancazione ed obbligarsi a pagarla in luogo
dell’attuale proprietario.
Questo secondo aspetto, che rappresenta la maggiore novità
della legge, ha subito un’interpretazione estensiva da pare
del Tribunale di Roma, il quale nel corso dell’ultimo anno
ha ritenuto che la semplice presentazione della domanda da
parte del venditore estingua il procedimento giudiziale promosso
dall’acquirente, dichiarandolo improcedibile.
A parere dello scrivente quest’interpretazione della normativa
non è conforme alla sua intima natura. Infatti, la
lettura testuale dell’articolo della finanziaria, sempre a
parere dello scrivente, pone una disciplina diversa rispetto
all’interpretazione data.
Il legislatore ha ritenuto che la domanda giudiziale di rimborso
da pare dell’acquirente, verrebbe meno, solo con l’effettiva
rimozione dei vincoli soggettivi stabiliti dalle convenzioni,
ovvero nel momento dell’effettivo pagamento dell’affrancazione.
Solo in questo caso, secondo lo scrivente, si potrebbe parlare
di estinzione della procedura giudiziale ancorché iniziata.
La semplice domanda fatta al Comune di Roma di disporre i
calcoli per conoscere l’affrancazione di un diritto di superficie
non comporta l’obbligo di adempiere in seno al precedente
proprietario, il quale potrà decidere di non dare corso
al pagamento.
In questo specifico caso, a parere di chi scrive, la dichiarazione
di improcedibilità della domanda giudiziale, comporterà
che l’acquirente sarà costretto ad agire nuovamente
in giudizio per richiedere a carico del venditore una condanna
ad esecuzione specifica, ovvero un obbligo in fare ex art.
2932 c.c., tesa a costringere il venditore a disporre il pagamento.
Siffatta condizione comporterebbe un paradosso, infatti, l’attuale
proprietario non solo sarebbe stato leso al momento dell’acquisto
(avendo pagato il diritto di superficie oltre il prezzo massimo
di cessione), ma soprattutto si troverebbe a subire un duplice
costo giudiziario.
L’ipotesi non è molto peregrina, atteso il lungo tempo
in cui il Comune di Roma evade le domande ed attesa la mutevole
condizione economica e sociale in cui viviamo.
Pertanto si crede che l’interpretazione estensiva data dal
Tribunale di Roma alla norma abbia avuto ragioni pragmatiche,
e cioè evitare delle condanne a carico dei venditori
che abbiano, comunque, presentato la domanda di affrancazione
ma non ancora pagato la stessa a causa dei lunghi tempi di
evasione della pratica da parte del Comune di Roma.
In definitiva a fronte di una pseudo volontà di adempimento
il Tribunale ha ritenuto, in via meramente equitativa, di
non dover emettere delle condanne nei confronti di soggetti
che altrimenti avrebbero subito peggiori ripercussioni economiche.
Alla luce di questa interpretazione si deve ritenere che il
valore estintivo della proposizione della domanda di affrancazione
abbia effetto fino alla sentenza di primo grado.
Infatti, tale lettura è stata, indirettamente suggerita,
dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5461/2019,
la quale ha negato la rimessione in termini ad un soggetto
contumace nel primo grado di giudizio e condannato dal Tribunale
di Roma al pagamento della differenza prezzo.
In definitiva si deve pensare che secondo i giudici della
Corte di Appello di Roma la possibilità di estinguere
il diritto dell’acquirente ad avere la restituzione dell’indebito
pagamento e quindi l’abolizione dei vincoli soggettivi, abbia
come linea di confine la sentenza di primo grado, la quale
una volta pronunciata accerta in favore dell’attore un diritto
alla restituzione del prezzo massimo di cessione, non essendo
più possibile dopo modificare l’obbligazione de quo.
Stante quanto sopra è giusto, comunque, sottolineare
che la pronuncia della Corte di Appello rappresenta, allo
stato attuale, un unicum giuridico, poiché la pronuncia
presenta diverse singolarità in primis perché
la parte venditrice era contumace, in secundis perché
il contenzioso aveva avuto una prima condanna prima dell’emanazione
della legge 136/2018 e quindi prima della nuova normativa
data dal legislatore.
Tali prerogative della sentenza consigliano di rimanere in
attesa delle nuove pronunce sull’argomento."
Per
qualsiasi informazione in merito potete fare riferimento al
blog La
Casa di Fabrizio.