12
marzo 2020 - "Nelle ultime due settimane
- ha dichiarato il direttore generale dell'OMS Tedros
Adhanom Ghebreyesus nella conferenza stampa di ieri su COVID19
- il numero di casi di COVID-19 al di fuori della Cina
è aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti
è triplicato, ci sono più di 118.000 casi in
114 paesi e 4.291 persone hanno perso la vita. Altre migliaia
stanno lottando per la propria vita negli ospedali.
Nei giorni e nelle settimane a venire, prevediamo che il numero
di casi, il numero di decessi e il numero di paesi colpiti
aumenteranno ancora di più. L'OMS ha valutato questo
focolaio 24 ore su 24 e siamo profondamente preoccupati sia
dai livelli allarmanti di diffusione e gravità, sia
dai livelli allarmanti di inazione. Abbiamo quindi valutato
che COVID-19 può essere caratterizzato come una pandemia.
Pandemia non è una parola da usare con leggerezza o
disattenzione."
"Descrivere la situazione come una pandemia - ha
proseguito il direttore dell'OMS - non cambia la valutazione
dell'OMS sulla minaccia rappresentata da questo virus. Non
cambia ciò che l'OMS sta facendo e non cambia ciò
che i paesi dovrebbero fare.
Siamo grati per le misure adottate in Iran, Italia e Repubblica
di Corea per rallentare il virus e controllare le loro epidemie.
Sappiamo che queste misure stanno mettendo a dura prova le
società e le economie, proprio come hanno fatto in
Cina."
Che
cosa è una pandemia? – È una epidemia
con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi
territori o continenti. Questa etichetta è riservata
alle malattie infettive che minacciano la salute di molte
persone nel mondo simultaneamente, perché il virus
valida i confini interessando nazioni e continenti diversi.
Le
Pandemie Influenzali del Ventesimo Secolo
Nel ventesimo secolo si sono verificate tre pandemie influenzali:
nel 1918, 1957, e 1968, che sono identificate comunemente
in base alla presunta area di origine: Spagnola, Asiatica
e Hong Kong.
Si sa che sono state causate da tre sottotipi antigenici differenti
del virus dell’influenza A, rispettivamente: H1N1, H2N2, e
H3N2.
Sebbene non classificate come pandemie, tre importanti epidemie
si verificarono anche nel 1947, nel 1977 e nel 1976.
Le epidemie maggiori non mostrano una periodicità o
caratteri prevedibili e differiscono l’una dall’altra. Esistono
prove scientifiche a favore dell’ipotesi che le vere pandemie,
con modifiche dell’emagglutinina, originino da riassortimento
genetico con virus dell’influenza A degli animali.
1918: la Spagnola (H1N1)
Si stima che un terzo della popolazione mondiale fu colpito
dall’infezione durante la pandemia del 1918–1919. La malattia
fu eccezionalmente severa, con una letalità maggiore
del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano
fino a 100 milioni.
Negli anni trenta furono isolati virus influenzali dai maiali
e dagli uomini che, attraverso studi sieroepidemiologici furono
messi in relazione con il virus della pandemia del 1918. Si
è visto che i discendenti di questo virus circolano
ancora oggi nei maiali. Forse hanno continuato a circolare
anche tra gli esseri umani, causando epidemie stagionali fino
agli anni ’50, quando si fece strada il nuovo ceppo pandemico
A/H2N2 che diede luogo all’Asiatica del 1957. I virus imparentati
a quello del 1918 non diedero più segnali di sé
fino al 1977, quando il virus del sottotipo H1N1 riemerse
negli Stati Uniti causando un’epidemia importante nell’uomo..
Da allora virus simili all’ A/H1N1 continuarono a circolare
in modo endemico o epidemico negli uomini e nei maiali, ma
senza avere la stessa patogenicità del virus del 1918.
Dal 1995, a partire da materiale autoptico conservato, furono
isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della
pandemia del 1918, fino ad arrivare a descrivere la completa
sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri 4.
Il virus del 1918 è probabilmente l’antenato dei 4
ceppi umani e suini A/H1N1 e A/H3N2, e del virus A/H2N2 estinto.
Questi dati suggeriscono che il virus del 1918 era interamente
nuovo per l’umanità e quindi, non era frutto di un
processo di riassortimento a partire da ceppi già circolanti,
come successe poi nel 1957 e nel 1968. Era un virus simile
a quelli dell’influenza aviaria, originatosi da un ospite
rimasto sconosciuto.
La curva della mortalità per età dell’influenza,
che conosciamo per un arco di tempo di circa 150 anni. ha
sempre avuto una forma ad U, con mortalità più
elevata tra i molto giovani e gli anziani. Invece la curva
della mortalità del 1918 è stata a W incompleta,
simile cioè alla forma ad U, ma con in più un
picco di mortalità nelle età centrali tra gli
adulti tra 25 e 44 anni.
I tassi di mortalità per influenza e polmonite tra
15 e 44 anni, ad esempio furono più di 20 volte maggiori
di quelli degli anni precedenti e quasi metà delle
morti furono tra i giovani adulti di 20–40 anni, un fenomeno
unico nella storia conosciuta. Il 99% dei decessi furono a
carico delle persone con meno di 65 anni, cosa che non si
è più ripetuta, né nel 1957 e neppure
nel 1968. I fattori demografici non sono in grado di spiegare
questo andamento.
Le pandemie del 1957 e del 1968
1957:
l’Asiatica (H2N2)
Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritornò al suo
andamento abituale per tutti gli anni trenta, quaranta e cinquanta,
fino al 1957, quando si sviluppò la nuova pandemia.
All’epoca il virus era stato isolato nell’uomo nel 1933 e
poteva essere studiato in laboratorio.
Tranne le persone con più di 70 anni, la popolazione
non aveva difese contro il virus.
Nonostante non esistesse una sorveglianza epidemiologica o
di laboratorio, come quelle che abbiamo oggi, il virus fu
studiato nei laboratori di Melbourne, Londra e Washington,
dopo il riconoscimento che un’importante epidemia era in corso.
Il New York Times in un articolo descrisse l’epidemia che
aveva coinvolto circa 250.000 persone in un breve periodo
ad Hong Kong.
Il virus fu rapidamente riconosciuto con i test di fissazione
del complemento, mentre lo studio dell’emagglutinina virale
mostrò che si trattava di un virus differente da quelli
fino ad allora isolati negli uomini. Ciò fu confermato
anche dalla neuraminidasi. Il sottotipo del virus dell’Asiatica
del 1957 fu più tardi identificato come un virus A/H2N2.
Il virus aveva diversi caratteri immunochimici che differivano
marcatamente dagli altri ceppi conosciuti.
Si sapeva che nell’influenza le infezioni batteriche polmonari
secondarie o concomitanti erano frequenti, e ad esse erano
dovuti molti dei casi fatali. A volte però la sovrapposizione
batterica non poteva essere dimostrata, per cui si parlava
occasionalmente di polmonite abatterica. Ma, con l’Asiatica
del 1957, fu molto diffuso ed evidente il fenomeno di polmoniti
primariamente virali.
In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono
soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno
colpiti furono i soggetti sani.
Il virus dell’Asiatica (H2N2) era destinato ad una breve permanenza
tra gli esseri umani e scomparve dopo soli 11 anni, soppiantato
dal sottotipo A/H3N2 Hong Kong.
1968: Influenza Hong
Kong (H3N2)
Come nel 1957, la nuova pandemia provenne dal Sud Est Asiatico
e anche questa volta fu la stampa a dare l’allarme con la
notizia di una grande epidemia in Hong Kong data dal Times
di Londra. Nel 1968, come nel ’57 le comunicazioni con la
Cina continentale erano poco efficienti.
Poiché l’epidemia si trasmise inizialmente in Asia,
ci furono importanti differenze con quella precedente: in
Giappone le epidemie furono saltuarie, sparse e di limitate
dimensioni fino alla fine del 1968. Il virus fu poi introdotto
nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità,
contrariamente all’esperienza dell’Europa dove l’epidemia,
nel 1968–1969, non si associò ad elevati tassi di mortalità.
In Italia l’eccesso di mortalità attribuibile a polmonite
ed influenza associato con questa pandemia fu stimato di circa
20.000 decessi.
Poiché il virus Hong Kong differiva dal suo antecedente
dell’Asiatica del 1957 per l’antigene emagglutinina, ma aveva
lo stesso antigene neuraminidasi, si pensò che l’impatto
variabile nelle diverse regioni fosse imputabile a differenze
nell’immunità acquisita nei confronti dell’antigene
neuraminidasi.
Eventi quasi pandemici
1947:
Pseudo pandemia (H1N1)
Alla fine del 1946, un’epidemia di influenza si diffuse in
estremo oriente, in Giappone e Corea, tra le truppe americane,
e successivamente, nel 1947, ad altre basi militari negli
USA dove fu isolato un ceppo virale che sembrò molto
differente dal virus dell’influenza A, sotto il profilo antigenico,
per cui fu chiamato: “Influenza A prime”. Si ritiene che questa
epidemia possa essere considerata una pandemia lieve, perché
si diffuse a livello globale, ma causò relativamente
pochi morti.
Si verificò il completo fallimento del vaccino nel
proteggere un gran numero di militari americani vaccinati.
Il vaccino conteneva un ceppo H1N1 che era risultato efficace
nelle stagioni 1943–1944 e 1944–1945. Negli anni successivi,
quando furono caratterizzati sia il virus del 1943, da cui
era stato derivato il vaccino, che quello del 1947 si osservò
che le sequenze di RNA virale erano marcatamente diverse in
quanto a composizione.
1977: Epidemia dell’Influenza
Russa (H1N1)
Questa epidemia si era diffusa nel maggio 1977 nel nord est
della Cina, ma fu denominata “Russa”. Essa si diffuse rapidamente
ma soprattutto o quasi unicamente tra i giovani con meno di
25 anni, con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente
influenzali. Si ritiene che i giovani non fossero stati esposti
al virus H1N1, che non aveva più circolato più
dal 1957, quando erano diventati dominanti prima ceppi H2N2
e poi H3N2. In effetti, la caratterizzazione antigenica e
molecolare ha dimostrato che questo virus era molto simile
a quelli circolanti negli anni ’50.
(fonte
Epicentro
)