18
ottobre 2022 - In occasione della Giornata internazionale
di lotta alla povertà (17 ottobre), Caritas Italiana
divulga il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione
sociale dal titolo “L’anello
debole”. La povertà in Italia è in forte
aumento è lo è soprattutto per scelte politiche
discutibili sulla guerra in Ucraina che hanno privilegiato
l’interventismo e lo schieramento di parte invece che la ricerca
della pace attraverso i canali diplomatici. Il passato non
ci ha insegnato nulla ed ora ne paghiamo un alto prezzo economico
e sociale. Quasi unanimi sono state le scelte politiche e
solo una voce, quella di Papa Francesco, si è schierata
apertamente per fermare questa guerra incomprensibile e demenziale.
Le conseguenze sono che, ancora una volta assistiamo all’economia
della speculazione, dove alcuni individui si arricchiscono
ai danni di tanti altri che trovano la strada spianata verso
quella povertà che potrà essere recuperata solo
dopo diverse generazioni. Questi speculatori riescono ad agire
grazie a scelte politiche criticabili che provocano soprattutto
danni al proprio popolo. Sarà utopistico ma un mondo
senza confini sarebbe un mondo senza guerre.
Ecco
una sintesi del rapporto Caritas: «Il Rapporto si
colloca all’interno di una particolare congiuntura storico-sociale.
Da un lato, assistiamo al progressivo venir meno dell’emergenza
pandemica, che negli ultimi anni ha colpito con i suoi effetti
sociali ed economici una grande massa di persone, in Italia
e nel resto del Mondo. La pandemia ha infatti ribaltato molti
equilibri all’interno delle nostre vite, evidenziando la comune
debolezza umana di fronte ad emergenze ed eventi inaspettati.
Sono aumentate le quote di disagio e fragilità nei
territori, che hanno coinvolto in modo diverso persone e famiglie,
non sempre provenienti da vissuti di povertà e disagio
sociale. Sempre nello stesso periodo abbiamo potuto anche
scoprire nuove forme di solidarietà e di presenza delle
società civile, che ha saputo mettersi in gioco evidenziando
la capacità umana dell’empatia e del sentirsi responsabili
degli altri. Dall’altro lato, tuttavia, proprio nel momento
in cui gli effetti della pandemia stavano progressivamente
riducendosi, una nuova criticità ha colpito i nostri
vissuti quotidiani: la guerra in Ucraina, nel cuore dell’Europa,
ha prodotto una situazione di emergenza come mai si era vista
nel continente europeo, perlomeno in tempi successivi al secondo
conflitto mondiale. Questo tipo di situazione ha prodotto
e sta ancora adesso producendo una serie di conseguenze misurabili
non solamente sul piano umanitario, ma anche su quello del
tenore di vita e delle condizioni socio-economiche delle famiglie
nel nostro paese. È di questi giorni il dibattito sull’impatto
che l’aumento dei costi energetici avrà sul bilancio
familiare, con particolare riguardo a quei nuclei a basso
reddito o a reddito fisso, che non sono in grado di incrementare
in tempi rapidi il volume delle proprie entrate economiche.
•
Le statistiche ufficiali. Nel 2021 la povertà
assoluta conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020,
anno di inizio della pandemia da Covid-19. Le famiglie in
povertà assoluta risultano 1 milione 960mila, pari
a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente).
L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10%
dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al
Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). In riferimento
all’età, i livelli di povertà continuano ad
essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale
di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori
(quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all’11,4%
fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64
anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto il la media nazionale).
Tra il 2020 e il 2021 l’incidenza della povertà è
cresciuta più della media per le famiglie con almeno
4 persone, le famiglie con persona di riferimento di età
tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le famiglie degli
stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. È
cresciuta meno della media per le famiglie piccole, con anziani,
composte da soli italiani.
•
I dati di fonte Caritas offrono un prezioso
spaccato sui volti di povertà del nostro tempo. Nel
2021, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati,
le persone incontrate e supportate sono state 227.566 persone.
Rispetto al 2020 si è registrato un incremento del
7,7% del numero di beneficiari supportati (legato soprattutto
agli stranieri); non si tratta sempre di nuovi poveri ma anche
persone che oscillano tra il dentro fuori dallo stato di bisogno.
Chiedono aiuto sia uomini (50,9%) che donne (49,1%). Cresce
da un anno all’altro l’incidenza delle persone straniere che
si attesta al 55%, con punte che arrivano al 65,7% e al 61,2%
nelle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est; di contro, nel
Sud e nelle Isole, prevalgono gli assistiti di cittadinanza
italiana che corrispondono rispettivamente al 68,3% e al 74,2%
dell’utenza. L’età media dei beneficiari si attesta
a 45,8 anni. Complessivamente le persone senza dimora incontrate
sono state 23.976, pari al 16,2% dell’utenza: si tratta per
lo più di uomini (72,8%), stranieri (66,3%), celibi
(45,1%), con un’età media di 43,7 anni e incontrati
soprattutto nelle strutture del Nord (questa macroregione
ha intercettato quasi la metà degli homeless d’Italia).
Si
rafforza nel 2021 la consueta correlazione tra stato di deprivazione
e bassi livelli di istruzione. Cresce infatti il peso di chi
possiede al massimo la licenza media, che passa dal 57,1%
al 69,7%; tra loro si contano anche persone analfabete, senza
alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. Nelle
regioni insulari e del sud, dove lo ricordiamo c’è
una maggiore incidenza di italiani, il dato arriva rispettivamente
all’84,7% e al 75%. Strettamente correlato al livello di istruzione
è, inoltre, il dato sulla condizione professionale
che racconta molto delle fragilità di questo tempo
post pandemico. Nel 2021 cresce l’incidenza dei disoccupati
o inoccupati che passa dal 41% al 47,1%; parallelamente si
contrae la quota degli occupati che scende dal 25% al 23,6%.
Risulta ancora marcato anche nel 2021 il peso delle povertà
multidimensionali: nell’ultimo anno il 54,5% dei nostri beneficiari
ha manifestato due o più ambiti di bisogno. In tal
senso prevalgono, come di consueto le difficoltà legate
a uno stato di fragilità economica, i bisogni occupazionali
e abitativi; seguono i problemi familiari (separazioni, divorzi,
conflittualità), le difficoltà legate allo stato
di salute o ai processi migratori.
In
termini di risposte gli interventi della rete Caritas sono
stati numerosi e vari. Complessivamente risultano erogati
nel 2021 quasi 1milione 500mila interventi, una media di 6,5
interventi per ciascun assistito (considerate anche le prestazioni
di ascolto). In particolare: il 74,7% ha riguardato l’erogazione
di beni e servizi materiali (mense/empori, distribuzione pacchi
viveri, buoni ticket, prodotti di igiene personale, docce,
ecc.); il 7,5% le attività di ascolto, semplice o con
discernimento; il 7,4% gli interventi di accoglienza, a lungo
o breve termine; il 4,6% l’erogazione di sussidi economici
(per il pagamento di affitti e bollette), il 2,2% il sostegno
socio assistenziale e l’1,5% interventi sanitari. L’analisi
della conversione degli interventi in euro mette in luce,
tuttavia, che le erogazioni di sussidi economici pur rappresentando
solo il 4,6% degli interventi assorbono oltre il 76% delle
spese.
La povertà intergenerazionale. In
Italia il raggio della mobilità ascendente risulta
assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene
da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca
sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale
si registrano invece scarse possibilità di accedere
ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti
e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”).
A partire da tali consapevolezze Caritas Italiana ha condotto
il primo studio nazionale su un campione rappresentativo di
beneficiari Caritas al fine di quantificare le situazioni
di povertà ereditaria nel nostro Paese. Complessivamente
nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà
intergenerazionale pesano per il 59,0%; nelle Isole e nel
Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente
al 65,9% e al 64,4%; il nord-Est e il Sud risultano le macro-aree
con la più alta incidenza di poveri di prima generazione.
Il
rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità
economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità
è di fatto molto alto. Il nesso tra condizione di vita
degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari
fronti oltre a quello economico. In primis nell’istruzione.
Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà,
nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da
nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi
senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei
genitori possiede al massimo una licenza elementare). E, sono
proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere
gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in
taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra
i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà
arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa
laurea. Anche sul fronte lavoro emergono degli elementi di
netta continuità. Più del 70% dei padri dei
nostri assistiti risulta occupato in professioni a bassa specializzazione.
Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle
casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le
basse qualifiche. Il raffronto tra le due generazioni mostra
che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione
occupazionale dei padri e che il 42,8% ha invece sperimentato
una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che
hanno un basso titolo di studio). Più di un terzo (36,8%)
ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini
di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica
non trova sempre una corrispondenza in termini di impiego
(data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento
contrattuale e retributivo, vista l’alta incidenza dei lavoratori
poveri.
•
La povertà intergenerazionale: contesti, voci
e storie. È stata realizzata anche una ricerca
qualitativa in 6 diocesi per narrare il vissuto delle famiglie
in povertà intergenerazionale, tracciare una mappa
dei fattori che la alimentano e delineare approcci utili per
spezzare la catena della trasmissione della povertà.
La ricerca ha dato voce alle persone provenienti da contesti
familiari in cui la povertà è stata trasmessa
per almeno tre generazioni e ha coinvolto operatori e volontari
delle Caritas, operatori sociali di istituzioni e di enti
del Terzo Settore. Emerge un quadro in cui ai fattori fondamentali
che determinano la trasmissione della povertà (educativa,
lavorativa ed economica), si aggiungono la dimensione psicologica
(bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza
di speranza e progettualità, stile di vita “familiare”),
conseguenza di un vissuto lungamente esposto alla povertà
e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità,
contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni
e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge
tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione
in situazione di disagio. Ne deriva la necessità di
interventi e presa in carico che vadano oltre gli indispensabili
aiuti materiali che, nel caso delle povertà multigenerazionali,
non appaiono sempre risolutivi. I due elementi chiave nelle
storie con esito positivo sono la cura della relazione di
fiducia con accompagnamenti prolungati nel tempo e l’inserimento
attivo nelle comunità, costruendo reti di sostegno
e di reciprocità, sensibilizzando e attivando le comunità
alla prossimità. “Nessuno merita di essere dimenticato”,
afferma una delle persone intervistate, una sollecitazione
e un invito alla fraternità e al superamento di stigmi
e preconcetti verso gli ultimi che talvolta limitano inconsapevolmente
il percorso delle persone in situazione di disagio multidimensionale
e reiterato.
•
Il futuro lavorativo e formativo dei giovani in difficoltà
in Europa. E’ stata condotta un’indagine in 10 paesi
europei, con la collaborazione di Caritas Europa e Don Bosco
International, avente come obiettivo lo studio della delicata
fase di transizione scuola-lavoro, riferita a giovani e adolescenti
che vivono in famiglie in difficoltà e che sono intercettate
da Caritas o da Centri di Formazione Professionale (CFP) dei
Salesiani. Secondo i dati raccolti presso un campione di giovani
in cinque paesi, il 41,3% di essi ha vissuto in famiglia gravi
problemi economici a causa del Covid; il 44,1% riceve aiuto
per pagare le spese scolastiche; il 37,4% non si sente preparato
per continuare gli studi; il 57,1% non si sente pronto ad
entrare nel mondo del lavoro; il 78,6% non è stato
aiutato da nessuno a scuola per orientare il proprio futuro.
L’ascolto dei direttori dei CFP Salesiani conferma l’impatto
del Covid-19: per almeno quattro studenti su cinque, la pandemia
ha influito significativamente nella pianificazione del loro
futuro, soprattutto in termini negativi. Tenendo conto che
il 90,5% dei ragazzi intervistati non ha mai partecipato ad
esperienze di scambi internazionali, appare importante l’attività
di sostegno fornita su questo ambito dai CFP (47 centri su
67).
•
Contrasto alla povertà. Questioni, priorità
e politiche per il futuro. Il capitolo conclusivo
del Rapporto si sofferma sulla situazione e le prospettive
delle politiche di contrasto alla povertà, sviluppando
una riflessione lungo tre assi: come realizzare buone politiche
contro la povertà assoluta; quali interventi pubblici
sono adeguati per fronteggiare l’alto rischio di povertà
ed esclusione sociale in Italia; quale ruolo la rete delle
Caritas può svolgere in uno scenario di politiche pubbliche
profondamente mutato negli ultimi anni, in cui lo Stato viene
assume un rinnovato ruolo di centralità. La misura
di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese,
il Reddito di Cittadinanza, è stata finora percepita
da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà
dei poveri assoluti (44%). Sarebbe quindi opportuno assicurarsi
che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni
peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente
economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di
inclusione sociale. Ma al momento una serie di vincoli amministrativi
e di gestione ostacolano tale aspetto. Il Rapporto offre alcune
proposte, di rafforzamento della capacità di presa
in carico dei Comuni, anche attraverso il potenziamento delle
risorse umane e finanziarie a disposizione e un miglior coordinamento
delle azioni. Particolare attenzione va data ai nuovi progetti
programmi in partenza, finanziati dal Pnrr, tra cui GOL (Garanzia
Occupabilità Lavoratori), un programma pensato per
rafforzare i percorsi di occupabilità di disoccupati,
lavoratori poveri o fragili/vulnerabili (NEET, giovani, maturi),
beneficiari di RdC e di ammortizzatori sociali in costanza
o assenza di rapporti di lavoro; si tratta di 3 milioni di
persone da formare o riqualificare entro il 2025, di cui il
75% saranno donne, disoccupati di lunga durata, giovani under
30, over 55. Per il tipo di profilo definiti, questo programma
interesserà senz’altro persone che si rivolgono ai
centri e servizi Caritas.»
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