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novembre 2010 – Il periodo critico relativo alla sicurezza
che stiamo vivendo nel nostro amato quartiere
è, per certi versi, paragonabile a quello delle città
di frontiera del vecchio far west americano che abbiamo visto documentato
sui film delle saghe prodotte da una certa cinematografia di successo.
Anche noi abbiamo i nostri pionieri che vanno ad abitare una terra
di frontiera lontana da qualsiasi presidio di cavalleria (forze dell’ordine)
ma con ben tre villaggi indiani piuttosto turbolenti (accampamenti
rom) che non riescono ad integrarsi nella nuova realtà
e generano attriti e conflitti con il vicinato ma ancora più
spesso tra loro stessi. Non mancano le scorribande di fuorilegge provenienti
dai vicini territori perché i banditi conoscono bene che in
questa zona non c’è sceriffo e la cavalleria impiegherebbe
troppo tempo ad intervenire. Spadroneggiano nel territorio colpendo
l’inerme cittadino che, purtroppo, non ha una colt per difendersi.
Tornando agli indiani sono di tribù (etnie) diverse: apache
(romeni), sioux (serbo-croati) e navajos (francesi). Abitano
nelle loro capanne senza preoccuparsi dello smaltimento dei propri
rifiuti, rifiutando l’integrazione, vivendo ai margini della legge
e si distinguono per il loro cattivo rapporto con l’uomo bianco. Producono
fumi che non servono per le comunicazioni ma solo ad inondare di tossicità
loro stessi e i loro vicini. In base ad un vecchio trattato vivono
“provvisoriamente” da 15 anni in una riserva ma non comprendono la
legge dell’uomo bianco con tutte quelle restrizioni che la loro cultura
non accetta. Alcuni indiani ribelli rifiutano completamente la legge
ed escono dalle loro riserve solo per compiere scorrerie, razzie e
per usare la violenza contro la gente più debole. Sono una
minoranza, è vero, ma questo non evita che gli occhi dei pionieri
li osservino in maniera ostile: purtroppo gli uomini non riescono
a distinguere gli indiani buoni da quelli cattivi. Come in tutti i
film western è pressoché impossibile differenziare la
vittima dal persecutore, perché in una terra di frontiera è
tutto ancora da scoprire, da costruire e la legge non è ancora
arrivata. Siamo certi che in questa storia le vittime siano sia gli
indiani che i pionieri mentre l’unico colpevole è l’apparato
statale che ha creato il problema. Purtroppo, il vittimismo fa in
modo che più di qualcuno possa ritenersi libero dai vincoli
di civiltà e di rispetto reciproco. Il pioniere non perde la
speranza perché sa che un giorno arriverà la cavalleria
anche a Colli Aniene a mettere ordine e a ripristinare il rispetto
della legge. L’indiano non ha neppure questa speranza perché
in cuor suo sa bene che dovrà consegnare le sue tradizioni
e la sua cultura al progresso che avanza, lo sanno per certo i loro
figli che desiderano che questo avvenga, non lo accetta l’indiano
ribelle che non vuole cedere la sua libertà alle restrizioni
della civiltà dell’uomo bianco. Per tentare di trovare una
soluzione al problema, i cittadini hanno mandato una delegazione (i
comitati) a Washington (dalle istituzioni) ma ancora una volta la
storia ci insegna che il parlamento americano è troppo lontano
dal far west (le periferie romane) e non capisce i
problemi di chi si sente abbandonato.
P.S.
Apprendiamo ora la notizia che il fortino One Hundred Cells
(il Commissariato di Centocelle) ha abbandonato il proprio presidio.
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