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febbraio 2017 - Oggi proseguiamo la pubblicazione
del libro “La Cervelletta di Mimmo e con Mimmo” - Terza puntata.
"VISITA AL CASALE - Ora consentitemi
di accompagnarvi in un percorso straordinario all'interno
del Casale.
Intorno al Casale potete osservare una serie di edifici; alcuni
dei quali fatiscenti, costruiti nei primi decenni del '900
che costituiscono il “Borgo rurale” della Cervelletta. In
alcuni di essi abitavano ed abitano ancora, in modo stanziale,
i lavoratori agricoli occupati stabilmente nella grande azienda,
sia nei lavori agricoli, che nella gestione dei numerosi animali
all'interno delle stalle. Gli edifici più piccoli costituivano
il ricovero per animali da cortile.
Soffermiamoci un momento davanti al grande portale: alle vostre
spalle, con ingresso attraverso il cancello contrapposto a
quello del Casale, c'è la zona detta del “Rimessino”
con i due “Silos” e numerosi edifici fatiscenti, utilizzati
per il rimessaggio degli attrezzi agricoli , con annessa officina,
e come ricovero per piccoli e grandi animali. Sulla sinistra,
all'interno del “Rimessino”, potete ammirare due bellissimi
“Silos”, all'interno dei quali veniva posto uno strato di
erba e uno di sale, che, pressati da enormi e pesanti coperchi,
mossi da un argano manuale, si trasformavano in una poltiglia
maleodorante, di cui, però, le mucche erano ghiottissime.
Più lontano, in basso a destra, il “vecchio fienile”,
di cui, a causa di un rogo, sono rimaste in piedi solo le
colonne.
Sempre davanti al Casale, sulla sinistra, potete ammirare
la “Casetta di Cerasella”, l'ultima asinella della Cervelletta,
immortalata con un realismo sorprendente, sulla parete di
fondo da un pittore sconosciuto. Se si ascolta attentamente
ed in silenzio se ne può ancora ascoltare il raglio
solitario provenire dai campi vicini. Un tempo adibita ad
abitazione, fino a qualche tempo addietro era utilizzata,
per il gioco delle carte, da parte degli ex contadini e dei
loro amici.
In primavera ed in estate, è, da anni, frequentata
da 5/6 coppie di rondini, che convivono, rispettate, con le
grida dei giocatori. Vicinissimo alla “Casetta di Cesarella”,
si può notare una “Torretta”, simile ad una garitta
militare. Si tratta di uno “Sfiatatoio” (aereatore) di una
grotta, in parte scavata nel tufo, sottostante a tutto il
piano terra, che fungeva da cantina sociale.
Durante la seconda Guerra mondiale guerra, come racconta Pietro,
è servita anche da rifugio nel corso dei bombardamenti.
Gli occhi curiosi dei bimbi spaventati lasciavano l'abbraccio
delle mamme, durante le notti, e si affacciavano per osservare
lo spettacolo tragico di un cielo rischiarato sinistramente
dalle bombe traccianti. Gli adulti pensavano con preoccupazione
ai carri carichi di grappoli di uva, provenienti dalla zona
di Tor Sapienza che si sarebbero trasformati in vino, pigiati
con i piedi nudi dei giovani che si agitavano felici senza
correre rischio a causa di quello “sfiatatoio”.
Attualmente
tutta quest'area, dal Comune, è stata affidata a Roma
Natura, che intende trasformarla in “albergo diffuso” : una
reception, uno spazio ludico e una grande struttura museale
(nel grande fienile).
Roma Natura ha ottenuto dalla Comunità Europea circa
€ 1.700.000 e ha già provveduto a consolidare la rupe
tufacea e ad effettuare la pulizia botanica dell'area in questione.
Ora siamo di fronte al grande arco d'ingresso, realizzato,
come il resto, in pietra tufacea, nel 1600.
A sinistra si può ammirare una sezione di basolato
romano costruito di basoli, che numerosissimi, si trovano
nell'area circostante e che potrebbero provenire dal diverticolo
(piccolo raccordo stradale che collegava le consolari) che
metteva in comunicazione la villa romana del “Colle della
Puletrara”, da una parte con la Via Tiburtina e dall'altra
con la via Collatina.
Intanto ammiriamo l'imponenza della costruzione con mura a
“scarpa”, le cornici marcapiano, quelle delle finestre, la
chiave, tutto realizzato in pietra tufacea.
Ora, finalmente, entriamo nel Casale, attraversiamo l'ampio
porticato, contraddistinto da due ordini di volte: la prima
a “botte”, la seconda a “crociera” che introduce al grande
cortile.
Portatevi in fondo al cortile; ora rivolgete lo sguardo verso
la Torre: magnifica... vero? E' una torre medievale che risale
al 1200, quando, intorno, non c'erano che boschi e superfici
agricole. E' alta 27 m. con lato di 7 m. .
Le torri medievali, espressione della potenza dell'aristocrazia
feudale, erano abitate dal 1° piano, a cui si accedeva
attraverso un ponte levatoio, che alcuni archeologi sostengono
essere nel lato opposto a quello che stiamo osservando. Nella
generalità dei casi una torre assolveva a tre funzioni,
identificabili anche nella struttura architettonica: la prima
è quella di “semaforica”; se guardate la sommità
della torre, sotto i due merli centrali guelfi, (quelli ghibellini
sono a coda di rondine), ci sono due anelli di pietra bianca
e, sotto, delle mensole che servivano per inserirci e sostenere
delle fiaccole, utili per trasmettere, durante la notte, messaggi
di pericolo, di aggressione, d'incendio... alle altre torri
delle vicinanze: Tor Cervara, Tor Sapienza, Tor S, Eusebio
ecc..
Di giorno si può immaginare accogliessero bandiere
o stendardi e trasmettere messaggi diversi.
La seconda funzione è quella militare: sulla sommità
correva un ballatoio, di cui rimangono due sostegni in pietra
bianca, nel lato alla vostra sinistra, utilizzato per vedetta,
ma anche per offesa e difesa.
La terza funzione era quella “giurisdizionale”; indicava,
cioè, la proprietà.
Oltre ai merli, altri elementi architettonici della Torre,
sono costituiti dalla piccola costruzione “aggettante”, che
fuoriesce, cioè, dal corpo di fabbrica della Torre,
a circa metà della sua altezza: si tratta di una latrina
che ricorda quelle che i romani costruivano per i loro soldati
lungo le mura. La lunga scia disegnata sui mattoncini di tufo
sottostanti alla latrina testimoniano la funzione da questa
esercitata successivamente alla sua costruzione.
L'altro elemento architettonico importante è dato dalla
piccola feritoia a “bocca di lupo” rastremata, cioè,
verso l'interno che rappresenta l'unica finestra originaria
della Torre. Le altre sono state ricavate successivamente.
Fino a qualche decennio fa, alla base della Torre c'era un
grande abbeveratoio per i numerosi animali “liberi” presenti
nelle stalle del Casale; si dice alimentato da una sorgente
sotterranea al centro del cortile. Una leggenda vuole che,
all'interno della Torre, sia stata tenuta prigioniera Beatrice
Cenci.
Intorno al grande cortile quadrato, si possono osservare le
aperture che davano accesso ai diversi corpi di fabbrica delle
stalle (doppi verso l'A24 e via Tor Cervara) con i sottostanti
fienili caratterizzati da grandi finestroni, un tempo tutti
aperti, poi molti di essi murati, che servivano per far passare
aria e luce ed essiccare ulteriormente l'erba (il fieno) utilizzato
per alimentarei numerosi animali.
Ora varchiamo la piccola porta di servizio - sguardo fronte
Torre - che si apre sul lato sinistro del cortile e visitiamo
una delle grandi stalle della Cervelletta: ai due lati si
possono osservare le “mangiatoie” che contenevano il fieno
che veniva fatto calare dalle botole che si aprono sul soffitto.
Sul lato esterno della mangiatoia ogni due mucche avevano
a disposizione un “beverino”, una coppa di ghisa in cui scorreva
l'acqua tenuta a livello da un galleggiante, per abbeverarsi.
Nella parete sopra le mangiatoie potete osservare degli incavi,
dove veniva collocato una “saponetta” di sale che ogni due
mucche potevano “leccare” per reintegrare il sale di cui il
fieno è povero. Sul pavimento si possono osservare
due “formelle” dove scorreva l'urina che veniva raccolta all'interno
di buche per poi perdersi nel terreno sottostante. Il letame,
invece, veniva caricato su dei carrelli che scorrevano su
un binario ancora evidente al centro delle stalle e, attraverso
degli “snodi” raggiungevano le due grandi letamaie, a destra
e a sinistra rispetto al corpo di fabbrica delle stalle e
utilizzato, in agricoltura, per concimare le terre.
Un altro “segreto” delle stalle, come mi è stato riferito
da un vecchio ed espertissimo “vaccaro”, è dato dal
colore azzurrino che veniva dato sulle pareti delle stalle,
perché considerato repellente per mosche e zanzare,
che avrebbero potuto pungere e innervosire le mucche e i cavalli.
Nelle stalle, oltre ai buoi da lavoro, ai cavalli, ai vitelli,
ai muli, ci sono state fino a 170 mucche da latte, le uniche
ad avere il privilegio, in quanto “produttrici”, di possedere
un nome proprio, che, in genere, era legato a qualche caratteristica
specifica dell'animale.
Il ricordo va ai pascoli di montagna di alcuni anni prima,
ma, soprattutto a “Caporala”, che spesso, con i suoi possenti
e tristi muggiti, costretta alla catena di una stalla, raccontava
ai vitelli la bellezza dei pascoli montani, quando, con il
suo enorme campano di capo indiscusso, indirizzava tutta la
mandria verso le fresche sorgenti nelle valli profonde, che
solo lei era in grado di scoprire e per questo era diventata
“Caporala”; tutti gli altri animali la ricordano con ammirazione
e nostalgia.
In fondo alla stalla potete osservare alcuni vecchi attrezzi
di lavoro risalenti a metà del secolo scorso che la
gentilezza della famiglia Secondi ha voluto concedere, in
ricordo delle attività della grande azienda agro-zootecnica
della Cervelletta: una trattrice, un aratro metallico bivomere,
una ranghinatrice e una vecchia e, ormai, inutilizzabile “biga”,
che, quasi certamente, è servita ad Anna Fraentzel
in Celli ed altri suoi ospiti per raggiungere la stazione
di Tor Sapienza, come racconta nel suo libro “Uomini che non
scompaiono”, quando
veniva alla Cervelletta per occuparsi, insieme al marito,
il grande medico immunologo Angelo Celli, di malaria e di
alfabetizzazione dei contadini.
A proposito di questa stalla e delle difficili condizioni
di lavoro agricolo, un inciso doloroso è dato dalla
morte di un operaio agricolo caduto da una delle botole del
soffitto."
Antonio
Barcella
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